Un’antica tradizione ormai quasi del tutto scomparsa
ricorreva il primo giorno di Dicembre, “sa die de pedire sa
Cogatza”. L’antico rito consisteva nell’andare per le
case del paese, per la maggiore da parte dei bambini, ma anche
dei più grandi e chiedere appunto sa Cogatza, cosa era sa
Cogatza?, Costantina Frau nel suo Dizionario del Guilcier lo
traduce come “focaccia”, ad Aidomaggiore viene chiamato
così un tipo di pane che dopo la lievitazione viene fritto ed
ha il sapore de sa “tzippula”, ma questo credo che non
abbia niente a che fare con il nostro caso, oppure anticamente
la tradizione era quella di chiedere la focaccia.
Mi ricordo, da ragazzino, il primo di dicembre era una
grande festa, appena usciti da scuola, dopo aver pranzato, ci
si riuniva in gruppetti di amici e si usciva in giro per
chiedere sa cogatza, naturalmente bisognava prendere dei
recipienti per contenere i doni, la maggior parte dei ragazzi
usava “su cuneddu” (un sacchetto di tela che veniva usato
per il grano e per la farina) oppure “sa pischezòne”
(cestino fatto di canne intrecciate) oppure più semplicemente
un fazzoletto tenuto per gli angoli.
I ragazzi, bussavano alle porte delle case e quando usciva
la padrona di casa dicevano “Mi dda jàda sa Cogatza?”
(Me la date la Cogatza?) e si sentivano rispondere “Ello
poite nono, intràe ninnos mios” (Perché no, entrate
bambini) “Apparàe sos cunèddos” (aprite i
sacchetti). Anche nelle case più povere si aveva sempre
qualcosa da dare ai bambini, i doni nella maggior parte erano
frutti e legumi: Fichi secchi, mandorle, melograni, mele, mele
cotogne, noci, nocciole, sorbe, arance, ceci, fagioli, fave ed
in alcuni casi caramelle e dolciumi.
All’imbrunire, i bambini rientravano a casa tutti
compiaciuti, dopo aver girato per tutte le case dei
conoscenti, i sacchetti erano colmi di ogni ben di Dio.
Aidomaggiore è un paese ricco di alberi di fico, quindi
esiste la tradizione di far essiccare questi frutti al sole
che poi vengono infilati in uno spago onde realizzare
delle corone di frutti che vengono involte in diversi
strati di foglie di fico e conservati in appositi cestini e
cosi veniva realizzata “Sa Fozatza” e buona parte di
questi involucri venivano depredati in occasione de “sa
Cogatza”.
La questua dei bambini, a parte il primo
dicembre, si ripeteva il 31 ultimo dell’anno, in quel caso
“si pedit sa Candela” (si chiede la Candela) ed il
16 gennaio “si pedit sa Fita” (in questo caso “sa
Fita” sta per “fetta”), fetta di Panada o Tureddu il
dolce tipico di Sant’Antonio abate, realizzato con “sa
saba” di vino, farina e frutta secca (uva passa,
mandorle e noci).
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