AIDOMAGGIORE nelle sue tradizioni:
primo dicembre
“sa die de pedire sa Cogatza”

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ci ricorda questa tradizione
 
Mario Atzori
il 2/12/07

Un’antica tradizione ormai quasi del tutto scomparsa ricorreva il primo giorno di Dicembre, “sa die de pedire sa Cogatza”. L’antico rito consisteva nell’andare per le case del paese, per la maggiore da parte dei bambini, ma anche dei più grandi e chiedere appunto sa Cogatza, cosa era sa Cogatza?, Costantina Frau nel suo Dizionario del Guilcier lo traduce come “focaccia”, ad Aidomaggiore viene chiamato così un tipo di pane che dopo la lievitazione viene fritto ed ha il sapore de sa “tzippula”, ma questo credo che non abbia niente a che fare con il nostro caso, oppure anticamente la tradizione era quella di chiedere la focaccia.

Mi ricordo, da ragazzino, il primo di dicembre era una grande festa, appena usciti da scuola, dopo aver pranzato, ci si riuniva in gruppetti di amici e si usciva in giro per chiedere sa cogatza, naturalmente bisognava prendere dei recipienti per contenere i doni, la maggior parte dei ragazzi usava “su cuneddu” (un sacchetto di tela che veniva usato per il grano e per la farina) oppure “sa pischezòne” (cestino fatto di canne intrecciate) oppure più semplicemente un fazzoletto tenuto per gli angoli.

I ragazzi, bussavano alle porte delle case e quando usciva la padrona di casa dicevano “Mi dda jàda sa Cogatza?” (Me la date la Cogatza?) e si sentivano rispondere “Ello poite nono, intràe ninnos mios” (Perché no, entrate bambini) “Apparàe sos cunèddos” (aprite i sacchetti). Anche nelle case più povere si aveva sempre qualcosa da dare ai bambini, i doni nella maggior parte erano frutti e legumi: Fichi secchi, mandorle, melograni, mele, mele cotogne, noci, nocciole, sorbe, arance, ceci, fagioli, fave ed in alcuni casi caramelle e dolciumi.

All’imbrunire, i bambini rientravano a casa tutti compiaciuti, dopo aver girato per tutte le case dei conoscenti, i sacchetti erano colmi di ogni ben di Dio.

Aidomaggiore è un paese ricco di alberi di fico, quindi esiste la tradizione di far essiccare questi frutti al sole che poi vengono infilati in uno spago onde realizzare  delle corone di frutti che vengono involte in diversi strati di foglie di fico e conservati in appositi cestini e cosi veniva realizzata “Sa Fozatza” e buona parte di questi involucri venivano depredati in occasione de “sa Cogatza”.

La questua dei bambini, a parte il primo dicembre, si ripeteva il 31 ultimo dell’anno, in quel caso “si pedit sa Candela” (si chiede la Candela) ed il 16 gennaio “si pedit sa Fita” (in questo caso “sa Fita” sta per “fetta”), fetta di Panada o Tureddu il dolce tipico di Sant’Antonio abate, realizzato con “sa saba” di vino, farina e frutta secca (uva passa, mandorle e noci).
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