MACOMER. «La poesia è un dono di natura. Ereditario, direi.
                  Così è stato anche per me. Mio padre era un improvvisatore:
                  non un poeta. Non chiamatemi poeta: poeta è una parola troppo
                  importante per uno che ha la quarta elementare come me. Dante
                  era un poeta. Io sono solo un improvvisatore che ha la quarta
                  elementare». Si presenta così Salvatore Murgia Niola,
                  Macomerese da oltre quattrocento anni, ma di mamma di
                  Aidomaggiore, come tiene a precisare. Macomer, è la città
                  che ha dato i natali al vate cieco: Melchiorre Murenu. Ma
                  anche Aidomaggiore ha avuto i suoi poeti. Salvatore Murgia è
                  così. Grande di sentimenti e capacità espressive, grande
                  nell’umiltà. Bisogna faticare parecchio per farlo parlare
                  di sé e dei suoi componimenti, apprezzati e premiati in tutta
                  la Sardegna. Salvatore Sechi, nella prefazione del secondo
                  libro, ancora inedito, di Murgia, scrive: «Non sempre il
                  tempo inaridisce l’ispirazione poetica. Anzi, in Murgia pare
                  l’esatto contrario. Dopo sei anni dalla comparsa del primo
                  libro del Poeta-Pastore di Macomer, la sua vena poetica sembra
                  rinvigorita e affinata e il suo vocabolario arricchito».
                  Salvatore Murgia Niola, classe 1933, una vita trascorsa in
                  campagna a lavorare come “Massajiu” e pastore, ricorda
                  perfettamente gli anni della sua infanzia.  «Avevo meno
                  di dieci anni - dice - quando una zia che si dilettava a
                  scrivere, mi regalò il primo quaderno: uno di quelli che si
                  usavano in quinta elementare, con le righe e la copertina
                  nera. Li sopra ho cominciato a scrivere i miei primi
                  componimenti. Le rime fluivano libere e spontanee e io le
                  carpivo dai “grandi”, che improvvisavano dovunque: sulla
                  groppa del cavallo e durante la mietitura, o la vendemmia. Noi
                  ragazzi, quando ci trovavamo da soli in campagna, giocavamo a
                  fare gli improvvisatori e cantavamo le nostre rime». «Erano
                  tempi duri: eravamo in piena seconda guerra mondiale. Andare a
                  scuola era un lusso riservato a pochi. Dovevamo lavorare per
                  vivere. Di fronte alla caserma Bechi Luserna la mia famiglia
                  gestiva un tancato. Si tagliava il fieno da vendere
                  all’Esercito». Ricordi lontani nel tempo, vicinissimi nella
                  memoria. Frinas (Brezza leggera, che accompagna l’amore), è
                  il titolo della prima raccolta di poesie di Murgia, è
                  semplicemente stupendo. - Piero Marongiu