Il lascito del saltum
nostrum de Uras, villa già distrutta nel 1336, infatti nel 1388
non firmerà nel trattato di pace ad Abbasanta, conferma che il
toponimo attuale de Mura 'e Logu, indica una terra un tempo
pubblica, demaniale, cioè del giudice. Nelle vicinanze ci sono
anche i toponimi: Coronzu e Pedra Mariana. chiaro riferimento
a Mariano de Corogno, al quale il territorio fu lasciato in eredità
dal nonno Ugone.
Ruinas è menzionata nel 1342. Infatti dal libro: "Ratio
decimarum" di Pietro Sella n.ro 959 si sa che in quell'anno
il rettore di Ruinas Armaldo Martini pagava come decima alla sede
apostolica: Alfonsinorum libra I, Sold X. Anche la menzione
al n.ro 1846, per gli anni 1346-1350: "Pro ecclesia de Solli et
Romas libra I et Sold XII, sarebbe da riferire a Ruinas,
perché non esisteva nessuna Romas nella diocesi di Santa Giusta.
Ruinas è nominata per l'ultima volta in un documento pubblico nel
1388. Infatti non è nominata per niente dal Fara nel "De
Chorographia Sardiniae" e neppure nel "De Rebus Sardois",
scritti verso il 1585. A questa data non esisteva più.
Nel 1388 i giurati, cioè i rappresentanti ufficiali di Ruinas,
parteciparono ad Abbasanta alla ratifica della pace tra Eleonora d'
Arborea e Giovanni d'Aragona. Dal loro numero si può arguire che
fosse una villa di una certa consistenza. A capo c'era il Majore
Dominico Pala, poi Antonio Lopinu, Antonio de Nuraghe, Joanne Simala
Nicolau Cauli, Joanne de Serra, Petro Urghe.
Si ignora l'anno in cui la villa di Ruinas fu abbandonata. Il Lilliu
ci informa che tra la fine del XIV e il XV secolo ben 550 villaggi
su 1100 di cui si ha ricordo, furono abbandonati dai loro abitanti.
Di tanti paesetti restò in piedi solo la chiesa e questo spiega
perché tante chiese si ergono solitarie nelle campagne sarde. Sarà
stata una carestia più dura del solito o una peste più forte, che
portò quasi allo spopolamento, spingendo i pochi superstiti a
trasferirsi nella località più salubre di Aidomaggiore che era già
una villa popolata e ricca. La chiesa di Santa Barbara non fu
abbandonata e benché in condizioni precarie continuò ad esser
luogo di culto e oggetto di attenzione e venerazione. Già si è
detto che nel 1668 fu restaurata la fontana in onore di Santa
Barbara. Nei registri parrocchiali sono annotati beni o somme
lasciati alla chiesa come risulta nell'anno 1675 Juan Bras Putzulu
lascia tres sueldos. Nel 1682 Catelina Mureddu lascia seis dineros.
Nel 1691 Agnesa Cau lascia tres callaresos e Catellina Tore tres
callaresos. Nel 1692 Antonia Ara Falcon lascia una tentorgia de bulu
(giovane vacca). Nel 1694 Simon Porcu lascia un sueldo, Hjlario
Flore lascia cinco sueldos. Nel 1696 Rosangela Quessa lascia dos
reales.
Nel 1701 gli eredi del sacerdote Lorenzo Sanna. regalarono alla
chiesa di Santa Barbara un calice d'argento, dove si legge: "CaJix
iste in Hon. S. Barbarae ex bonis sac. Laurent Sanna AD. MDCCI-XXIV
MAII". Questo
calice esiste ancora ed è conservato tra gli arredi preziosi della
parrocchia.
Sarà stata Santa Barbara la patrona e la titolare della parrocchia
di Ruinas?
Tutto fa propendere per una risposta affermativa anche se non
possiamo esserne certi. Infatti nelle vicinanze c'è il toponimo di
ponte e fontana di Santa Lucia. Nei pressi ci sarà stata la chiesa
e il culto anche in onore di questa santa? Il professor Carlo Masia
negli anni '60 individuò tracce di costruzione in pozzolana, malta
nobile, usata solo per le chiese e gli edifici importanti come i
castelli. Dalle tracce rilevate, la chiesa risulterebbe ubicata
vicino al ponte detto di Santa Lucia parte dove è passata la strada
provinciale e parte nell'ingresso del terreno fra detta strada e
l'inizio del sentiero Creccu 'e Piskinas. Anche la fontana è stata
sotterrata dalla strada provinciale.
Una volta abbandonata Ruinas, non si potevano tenere aperte due
chiese in campagna, l'una vicina all'altra. Continuò e si conservò
il culto a Santa Barbara" forse la sua chiesa era più bella,
più solida, più importante, certo era la più grande fra tutte le
chiese campestri della zona. Fu abbandonata o decadde per vetustà
la chiesa di Santa Lucia e il suo culto trasferito con gli abitanti
di Ruinas nel paese di Aidomaggiore, dove Santa Lucia è venerata in
un bell' altare marmoreo e festeggiata solennemente con la presenza
anche dei devoti dei paesi vicini. Tante domande alle quali in
futuro si spera di dare risposta.
Se, come dicono gli storici, il culto di Santa Barbara giunse in
Sardegna importato dai Bizantini nel VI- VII secolo, allora anche le
chiese in suo onore iniziarono a sorgere una volta affermata la
devozione alla santa martire.
La primitiva chiesa, precedente a quella distrutta nel 1954, era
quindi di probabile origine bizantina. Sarebbe stato facile
individuarne le fondamenta dopo la demolizione, da parte di persone
competenti. La planimetria doveva essere minore delle due
successive, a navata unica e con piccola abside semi circolare.
Desumiamo la trasformazione da chiesa bizantina in aragonese dalle
poche decorazioni antiche riutilizzate nella costruzione attuale.
Tali elementi sono il bel rosone a forma stellare, raffigurante al
centro il simbolo del sole, elemento caratteristico dell'arte
arcaica sarda; i due stipiti decorati a fiori del portale
d'ingresso, i due merli sistemati all'estremità della facciata e
presenti in tante chiese sarde.
Durante il periodo aragonese e quando Ruinas era già disabitata, la
chiesa fu ampliata e ristrutturata con archi a sostegno del tetto.
Tali archi sostenuti da spessi muri diedero origine alle cappelle
laterali, tre per parte.
Da una relazione tecnica di restauro, poi non rispettato, datato 10
gennaio 1952, del geometra Giuseppe Cadeddu di Borore, conosciamo la
descrizione della chiesa precedente, che era più grande
dell'attuale. Aveva una sola navata e lateralmente aveva sei
cappelle. Tanto la navata e il presbiterio quanto le cappelle erano
coperte da tetto in tegole curve con struttura portante sorretta da
archi a tutto sesto. Il pavimento era in laterizi. L 'altare doveva
essere al centro del coro e le due cappelle vicine a questo erano
sopraelevate di uno scalino per formare il presbiterio. La facciata
aveva una larghezza di m. 13,1O e la lunghezza totale era di m.
24,55. Adiacente al coro c'era la sagrestia.
Anche in questa chiesa e nelle sue adiacenze venivano seppelliti i
morti. Infatti nell'estate 1991 durante gli scavi per fare le
fondamenta del muro a secco che recinge tutto il piazzale, "Sa
Corte", furono trovate tre urne di ossa. Le due più grandi
avevano anche il relativo coperchio in pietra, che ora si può
vedere sul marciapiede a destra della chiesa. Le urne sono state
utilizzate come vasca per raccogliere l'acqua dei rubinetti del
piazzale. Per volere della Sovrintendenza alle antichità le ossa
dei defunti furono composte dentro contenitori, il parroco vi
accluse un iscrizione con le notizie della provenienza e portate
nell'ossario comunale. In suffragio dei defunti cui appartenevano le
ossa fu celebrata una santa messa.
Nel 1954, come indicato in un epigrafe in trachite, murata sopra il
portale della facciata, la chiesa viene ricostruita totalmente, in
seguito al pessimo stato di conservazione delle strutture che
minacciavano di crollare. Del resto la chiesa era considerata
indecente già nel 700, così si legge in un volume conservato nell'
Archivio di Stato di Cagliari, fascicolo intitolato: "Affari
ecclesiastici della Diocesi di Oristano, dal 1720-1822",
vol.571". Nel 1952, inizialmente si era orientati non a
demolire e a ricostruire ex novo la chiesa ma a consolidare le
strutture maggiormente lesionate: arco anteriore, facciata, tetto,
pavimento. Si prevedeva di abolire le prime quattro cappelle
laterali, mediante la costruzione dei muri longitudinali fino al
tetto. Le cappelle laterali non più utilizzabili dovevano diventare
muristenes. Abbandonata l'idea iniziale, la vecchia chiesa fu del
tutto demolita, con la volontà che fosse ricostruita al più
presto.
Fu costituito un comitato fondato da otto persone. con la
supervisione del parroco don Antonio Cabiddu, i componenti sono:
Vidili Pietrino, Ara Giovanni, Niola Edoardo, Salaris Raffaele,
Ziulu Peppino, Pala Barbarangelo, Virdis Simone, Carta Ferdinando.
Il comitato aveva lo scopo di curare i lavori di ricostruzione,
trovare i mezzi economici necessari. Finanziamenti pubblici ne
arrivarono molto pochi. Fu tutto il paese a collaborare con generoso
slancio, vi partecipò ogni categoria di persone, chi con il lavoro
materiale, chi con l' offerta di denaro, di generi vari, chi con
giornate ed ore di lavoro gratuito, con la speranza di poter vedere
ricostruita al più presto la chiesa della nostra santa.
In parte la chiesa fu ricostruita sopra le vecchie fondamenta di
pietrame basaltico e malta di fango, ma con dimensioni inferiori sia
in lunghezza che in larghezza. Vengono distrutte le caratteristiche
architettoniche originarie, trasformata la planimetria, manomessi
elementi decorativi ed ornamentali. Nella ricostruzione della
facciata vengono utilizzati i conci di trachite rosa provenienti
dalle arcate interne, ma nel fronte vengono sfaccettati a bugnato e
non lasciati lisci com'erano prima. Non vengono ricostruite le
quattro cappelle anteriori, sono ricostruite le due vicine
all'altare e fatte diventare transetto, il presbiterio è
sopraelevato di uno scalino sulla navata. Non vengono ricostruiti i
due muristenes che stavano ai lati della chiesa, denominati: muristene
de sa campana, a sinistra, e de sa figu a destra. Il
primo nome ha fatto pensare che in passato vi fosse attiguo alla
facciata, sopra la prima cappella a sinistra, un campanile a vela.
Perciò nel 1982 fu fatto il campanile a vela in cemento armato, nel
vertice apicale posteriore del tetto. La copertura del tetto fu
eseguita con travi e travicelli in legno ricoperti da tegole curve,
i muri dell'edificio sono in conci di pietra basaltica misti ad
altri in trachite rosa. Sono completamente intonacati all'esterno e
all'interno, ad eccezione della facciata. Lo spazio interno è
diviso in quattro campate: due formano la navata, una campata il
presbiterio e una il coro. Le campate sono ottenute dai pilastri
in pietra che reggono gli archi a tutto sesto, fatti in cemento
armato. Su questi archi poggia il tetto con solaio a due falde
inclinate, realizzato negli anni '70. L'altezza massima della
facciata è di m. 5.90, al vertice c'è una croce greca, sarà un
resto della prima chiesa bizantina?
Le pareti laterali sono alte m. 4 all'interno. la facciata è larga
m. 7.40. la lunghezza m. 23,30. Il pavimento è in graniglia. L'aula
della chiesa è illuminata dal bel rosone della facciata, dalla
finestra del coro e da due finestre laterali, che si aprono nella
seconda campata. La porta principale è ad arco a tutto sesto. Il
coro ha forma quadrata, a ridosso del quale ci sono due vani. quello
a destra fa da sagrestia e comunica con la chiesa quello a sinistra
fa da muristene ed ha solo la porta verso l'esterno. Nella parte
sinistra del transetto c'è una porta secondaria. All'interno c'è
il primo altare in marmo e quello basilicale inaugurato il tre
dicembre del 1982. La chiesa ricostruita fu inaugurata solennemente
il 26 agosto 1961, nel vespro della festa, con la processione dal
paese con la nuova statua di Santa Barbara, con la partecipazione
gioiosa e commossa di tutta la popolazione.
Purtroppo la ricostruzione ex novo non è servita ad evitare gli
antichi mali, infatti nel 1982 fu necessario intervenire perché nei
muri apparvero numerose crepe, ciò fu causato dal fatto che la
chiesa fu costruita in un terrapieno, realizzato con materiale di
risulta e quindi facilmente soggetto a cedimenti. Nell'82 si è
intervenuti facendo un cordolo in cemento armato, sotto i
marciapiedi sui tre lati della chiesa: abside e parti longitudinali.
Andò bene fino al '96 quando piano piano apparvero ancora tante
lesioni. Si fece un primo intervento nel 97. con fondi della chiesa,
spendendo £ 7.000.000, con un sistema di cucitura delle pareri più
lesionate. Finché nel 2002. con finanziamenti pubblici di £
30.000.000, più £ 6.000.000 della chiesa, si è realizzata la
cucitura totale delle pareti, tutte legate fra loro da grosse barre
d'acciaio, che se hanno danneggiato un po’ l'estetica interna
specie del presbiterio, tuttavia hanno reso più sicuro il locale
sacro. Con la speranza e l'auspicio che in futuro si abbiano
possibilità economiche più consistenti, per interventi definitivi
e soprattutto perché con la sicurezza sia salvaguardata anche l'
estetica.
Il desiderio di tutti è che questo secolare luogo sacro, che forse
da 1400 anni è stato voluto dai devoti di Santa Barbara, possa
continuare ad accoglierli.
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