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       Chiesa di San Gavino 
       
       
      Testo dell'articolo scritto e pubblicato nel 2004 sul
      "Dialogo", quindicinale cattolico  di informazione della
      Diocesi Alghero - Bosa, da Don Tonino Carboni che ha consegnato il testo
      originale autorizzandone la pubblicazione anche in questo CD. 
      Il
      Dizionario sui vari paesi della Sardegna, pubblicato nel 1832 dagli
      storici Angius e Casalis presentando il paese di Aido Maggiore rende noto
      che oltre la Chiesa parrocchiale di S. Maria delle Palme, nel paese erano
      presenti anche tre chiese filiali: “la prima di San Giorgio verso
      levante; la seconda di San Gavino, verso tramontana, ambe nell’estremità
      dell’abitato; la terza di Santa Croce presso la parrocchiale”. 
      Anche lo Stroffarello nel 1895 parla 
      di tre chiese filiali e di tre chiese campestri. 
      Ancora oggi si conserva la memoria storica circa l’ubicazione della
      chiesa di San Giorgio: sorgeva dove attualmente è situato l’edificio
      scolastico e il suo cortile, in cui si seppellivano i morti, come avveniva
      in tutte le chiese del passato. All’interno si sepellivano gli
      appartenenti al clero, le persone particolarmente benemerite verso la
      chiesa o che disponevano di un consistente patrimonio. Nelle adiacenze
      venivano tumulate le altre persone. Detta pratica continuò, anche quando
      l’edificio andò in rovina, fino al 1870, quando venne costruito il
      Cimitero Comunale ancora in uso. Attualmente l’antica statua del Santo,
      rappresentato come un cavaliere armato a cavallo, è conservata dagli
      eredi di Gavino Farina. Si presenta annerita dal fumo delle numerose
      lampade, che venivano accese nella chiesa in suffragio dei morti. 
      Mentre della chiesa di Santa Croce, che sorgeva presso la parrocchiale,
      non si ha memoria dell’ubicazione precisa. Probabilmente si trattava di
      una chiesa di dimensioni ridotte cioè un Oratorio, sede succursale
      della Confraternita di Santa Croce. Secondo 
      l’esperto di storia locale, il defunto Michele Cambedda, doveva
      essere situata nel piazzale tra la parrocchia e le vicinanze della casa Mura.
      Nei muri della vecchia costruzione era inserita una pietra di trachite
      rosa avente scolpita la stella di Davide, ora reinserita nella
      ricostruzione della suddetta casa Mura. 
      Secondo il Gruppo Ricerche Storiche Parrocchiale, che si sta
      lodevolmente interessando di conoscere il passato storico di Aidomaggiore,
      tale stella farebbe pensare che la chiesetta di Santa Croce avrebbe avuto
      origine dalla trasformazione di una Sinagoga ebraica in luogo di
      culto cattolico, come si verificò in tanti luoghi in seguito all’ordine
      dei sovrani di Spagna, i cattolicissimi Ferdinando II° e Isabella di
      Castiglia, emanato nel 1492, di espulsione degli Ebrei dai loro regni se
      non avessero abbracciato la religione Cattolica. Sempre nella casa Mura è
      presente un’ ulteriore pietra scolpita che parrebbe rappresentare un
      candelabro a 7 bracci stilizzato. Questa ipotesi sul luogo di culto
      ebraico è suggestiva e verosimile, da tenere in considerazione e cercare
      di verificare, se nel futuro si dovessero fare dei lavori di scavo nella
      piazza per poter trovare eventuali tracce di fondamenta della suddetta
      struttura. 
      Come detto prima, la chiesa di Santa Croce doveva costituire la sede
      secondaria della Confraternita. Infatti San Gavino restava in periferia,
      lontano dalla parrocchiale. Perciò era più comodo per i confratelli
      indossare a S. Croce la propria divisa e prendere le insegne per
      partecipare alle celebrazioni comunitarie. 
      A Scano Montiferro  ancora
      oggi la Confraternita delle Anime ha il suo Oratorio ufficiale, dove
      tengono le riunioni, un po’ lontano dalla Parrocchia, mentre 
      utilizzano un’altra chiesetta adiacente alla Parrocchiale per
      prepararsi e conservare le insegne processionali della confraternita. 
      La sede ufficiale della Confraternita di Santa Croce è la chiesa San
      Gavino come leggiamo nella Bolla pontificia, ora conservata nell’Ufficio
      Parrocchiale, del 30 Aprile 1629, emanata da Papa Urbano VIII°, con il
      Cardinale Francesco Barberini come protettore. Tale Atto pontificio
      aggrega la nostra confraternita all’Arciconfraternita del Gonfalone di
      Roma e dei Flagellanti bianchi. Ancora oggi, i nostri confratelli di S.
      Croce indossano la sola tunica bianca. Questa confraternita cura le
      celebrazioni in onore della Santa Croce, della Settimana Santa e di
      Pasqua. 
      La chiesa di San Gavino sorge verso tramontana, cioè verso nord. E’ il
      monumento più antico del paese, e quindi il più importante, quello da
      stimare come il più caro, così da attirare l’attenzione, la cura, la
      conservazione da parte delle autorità e dei cittadini. Secondo una
      tradizione orale molto ben radicata nell’animo della gente, questa
      chiesa era l’antica parrocchiale del paese e il santo titolare il suo
      patrono sino alla fine del 1400 – primi del 1500, quando divenne chiesa
      parrocchiale Santa Maria delle Palme. 
      Si spera di trovare qualche documentazione che provi la veridicità di
      quanto suddetto. 
      Come mai una chiesa dedicata a San Gavino? 
      E’ il martire cavaliere di Porto Torres, del 303 d.C. insieme ai
      compagni Proto e Gianuario, Patrono del Giudicato di Torres e della
      Provincia Ecclesiastica Turritana, che oggi ha per centro la Curia
      Arcivescovile di Sassari. 
      San Gavino è un santo molto venerato nella parte settentrionale della
      Sardegna, ma anche nel resto dell’isola, così che il mese della sua
      festa, il 25 ottobre, da Lui ha preso il nome dialettale di Santu Ainzu o
      SantuAìni. Il suo culto potrebbe essere giunto nella nostra Comunità
      perché Aidomaggiore, essendo situata in una terra di confine fra il
      Giudicato d’Arborea e quello di Torres, avrebbe avuto periodi di
      incertezza riguardo alla sua appartenenza giuridica. Potrebbe esserci
      stata una alternanza di governo fra i due Giudicati, specialmente nel
      periodo in cui la stessa famiglia giudicale governava a Torres ed Arborea.
      Si hanno dati certi che intorno al 1015 il Giudice Gonnario Comita de
      Lacon Gunale (logudorese) era anche re d’Arborea. Si rammenta che il
      nome del Giudice Gunnari o Gonario è la corruzione di Januario il martire
      amico di San Gavino. 
      D’altra parte il culto di San Gavino è presente anche a Borore, paese
      confinante con il nostro, appartenuto sempre al Giudicato di Torres. Lì
      esiste una chiesa campestre dedicata al nostro Santo e in suo onore è
      celebrata una delle feste importanti del paese. 
      L’appartenenza temporanea di Aidomaggiore al Giudicato di Torres
      potrebbe spiegare il fatto che il Condaghe di Bonarcado non 
      ne parli per niente, mentre fa riferimenti a Ruinas (Santa
      Barbara) e a Orogogo (Santa Maria). Ma è certo che il paese di
      Aidomaggiore in quel periodo già esistesse. Lo testimonia l’antichità
      della chiesa di San Gavino, ma anche la prima fonte scritta che, per ora,
      lo nomina nel 1388. E’ questo il trattato di pace fra Eleonora
      d’Arborea e Giovanni d’Aragona, stipulato ad Abbasanta il 12 gennaio
      1388, dove si presentano contemporaneamente Ruinas e Aidomaggiore e
      quest’ultima ha 9 Giurati, due in più di Ruinas, segno che la nostra villa
      esistesse già da tempo e fosse già fiorente e importante. 
      Quando l’Angius visitò Aidomaggiore, San Gavino sorgeva all’estremità
      del paese. Ora è circondata dalle tante case sorte nelle vicinanze e
      nella vallata sottostante. 
      L’edificio è costruito sopra un sito più elevato rispetto al
      territorio circostante. La sua impostazione è chiaramente romanica, con
      la parte absidale orientata verso est e la facciata verso ovest.
      L’attribuzione romanica è stata avvalorata dalla scoperta di una
      piccola apertura, che nel passato era stata murata e intonacata. La
      finestrella è delimitata ai lati da pietra di trachite rosa ben lavorata
      ed ha la forma tipica dello stile romanico: allungata, stretta, a sezione
      trapezoidale, cioè più larga all’interno e più stretta all’esterno,
      quindi con ampia strombatura ai lati. Questa apertura è a più di 2 metri
      da terra, nella zona del presbiterio, fra la porta secondaria e
      l’apertura per entrare in sagrestia. 
      La struttura della chiesa è di piccole dimensioni: lunga 
      mt 13,50 larga mt 5,20 e alta mt 6,30. 
      Il tetto rifatto, è formato da capriate, che sostengono la copertura in
      tavolato, ricoperto da tegole curve. 
      Il pavimento è realizzato in cotto. Le pareti sono spoglie di
      ornamentazioni, ricoperte di ruvido intonaco, che si spera di rimuovere al
      più presto. Come acquasantiera è stata adottata una urna cineraria.
      Nella parete destra è appesa la croce e le scale usate nella funzione
      della Deposizione del Cristo morto. 
      Nella parte opposta c’è l’altare di S.Antonio Abate, la cui festa è
      celebrata in questa chiesa, con il tradizionale fuoco de “Sas Tuvas”
      acceso nel piazzale. Qui si celebra anche la festa di San Sebastiano. 
      Uno scalino separa la navata dal presbiterio, delimitato dalla parete di
      fondo, dove si apre un bell’arco a tutto sesto, realizzato in trachite
      rosa a vista, con i relativi piedritti. Un piccolissimo coro rettangolare
      col tetto più basso rispetto a quello della chiesa, delimita la facciata
      orientale della chiesa. Mi piace pensare che originariamente non ci fosse
      questo coro rettangolare, ma un altro di forma semicircolare, coperto a
      semi-catino, così come in tutte le chiese romaniche. 
      Nella parete di fondo si aprono due finestre rettangolari, fra le due vi
      è addossato un retablo del 700, che fino al 1965 si trovava nella chiesa
      di Santa Maria delle Grazie e nascondeva la bellissima nicchia in trachite
      scolpita  del primo “600.
      Probabilmente il retablo non era stato realizzato neanche per Santa Maria,
      dato che c’era già una bella nicchia più antica, ma per la chiesa
      parrocchiale di Aidomaggiore e poi portato alla chiesa campestre. E’
      certo che fu lavorato in onore della Madonna, perché in alto nella
      trabeazione ci sono le iniziali mariane. Ora il retablo ha urgentissima
      necessità di restauro. Ha perduto i colori originari perché per tanti
      anni è stato abbandonato alle intemperie, finchè Don Niola lo recuperò
      e lo salvò, facendolo portare in questa Chiesa, con la speranza che prima
      o poi si riuscisse a restaurarlo e a valorizzarlo come meriterebbe. Nel
      centro del retablo c’è una apertura ad arco, che ora contiene una tela
      ad olio raffigurante San Gavino, vestito da centurione romano su un
      cavallo bianco, che sta per entrare a Porto Torres per predicarvi il
      Vangelo. 
      Il quadro fu dipinto dal pittore ghilarzese Lello Fadda e nel 1979
      regalato da Michele Cambedda, che fu anche il primo Priore della
      ricostituita Confraternita. L’antica statua di San Gavino è andata
      perduta. Per un certo periodo fu conservata dalla famiglia di Masia
      Salvatore e Ziulu Francesca, che ne curava il legato. 
      Come di consueto, il Santo era rappresentato a cavallo. 
      Sotto il retablo è stata predisposta la sede del celebrante e ai lati,
      per tutta la parete, sono stati posti i sedili. Il tutto realizzato con le
      antiche lastre in basalto, che ricoprivano un tempo il pavimento. 
      Anche la mensa è ricavata da un grande lastrone di basalto. Questa
      nuova mensa è stata consacrata da Mons. Giovanni Pes il 25 ottobre 1982,
      dedicandola a San Gavino e deponendovi le reliquie dei santi martiri
      Donato e Marcello. 
      Agli angoli del presbiterio c’è la sede del Tabernacolo e alla parte
      opposta quella per la statua della Madonna di Fatima, qui venerata. I due
      piedistalli sono ricavati da pietre basaltiche e antiche macine. 
      Alla sinistra del presbiterio si apre un arco gotico aragonese 
      realizzato in trachite rosa a vista, con i relativi piedritti sui
      quali poggia. L’arco ha gli spigoli sagomati a toro. Su questo arco è
      addossata una costruzione più recente che dà origine ad una cappella
      laterale, dove nell’ultimo restauro è stata fatta una nicchia per
      esporvi la statua dell’Ecce Homo. E’ probabile che la cappella
      del Cristo, di cui parlano antichi registri parrocchiali, sia riferito a
      questa. 
      Fino al 1953 la statua dell’ Ecce Homo era conservata dentro una
      cassapanca ed esposta, con uno speciale rituale seguito da confratelli e
      prioresse, solo il giovedì santo e il venerdì mattina.  
      Fu Don Cabiddu, che fece in modo che la statua restasse dritta, facendola
      appoggiare ad un sostegno in ferro e da allora è sempre esposta alla
      venerazione e devozione dei fedeli. Questa statua è un capolavoro di
      straordinaria fattura artistica. Sembra che ne esistano solo altre due
      rassomiglianti: una a Tortolì e l’altra ad Alghero a S. Francesco.
      Forse risale al 1500 – 1600. Non si sono pronunciati in modo certo
      riguardo all’epoca artistica alla quale attribuirla, neanche i
      restauratori e i tecnici della Sovrintendenza, quando il sottoscritto la
      fece restaurare, in occasione dei 25 anni di sacerdozio nel 1995. Le
      braccia e le giunture sono snodate, ricoperte in pelle. 
      Questo fa pensare che originariamente servisse per il rito de “S’Iscravamentu”. 
      Si è detto che fino al 1953, il Cristo, non era esposto in continuazione
      perché non era in posizione eretta e rigida. Nella processione notturna
      del giovedì santo, nella quale veniva e viene tuttora portato,
      accompagnato dagli accorati canti del coro maschile a “Cuntzertu”,
      veniva posto in una portantina, sostenuto da cuscini, poggiato ad una
      grossa colonna e con le gambe a penzoloni. Il volto ha una bellezza
      straordinaria, lo sguardo, rivolto verso il basso, sembra che fissi
      intensamente chi lo guarda, quasi richiamo silenzioso, verso chi ha di
      fronte, a comprendere e condividere il suo dolore. Dalla  bocca socchiusa si intravede la dentatura. Una folta
      capigliatura di capelli naturali copre la testa, coronata di spine. Le
      mani sono legate da una catena ai polsi e poggiano su una colonna, che sta
      davanti. La pelle è rigata dai colpi di flagello e quindi insanguinata.
      La devozione e la venerazione del popolo in suo onore è straordinaria.
      Nel passato era invocato con speciali celebrazioni nei lunghi periodi di
      siccità. 
      Come continuazione della cappella del Cristo, c’è un ampio locale, che
      arriva fino alla facciata, con apertura secondaria in asse con la porta
      principale. Questo locale serve come sagrestia e sede della Confraternita
      di Santa Croce. 
      La facciata della chiesa è sviluppata in altezza e meno in larghezza.
      L’apertura d’ingresso principale è ad arco a tutto sesto. Al di sopra
      c’è una finestra rotonda, una croce in pietra all’apice centrale. 
      Nell’estremità destra spicca il grazioso campanile a vela, con apertura
      ad arco per contenere l’unica campana. 
      Questa chiesa ha avuto bisogno di lavori di restauro, perché chiusa al
      culto dal 1971. I lavori iniziarono il 25 luglio 1977 per opera di Don
      Niola. La spesa fu affrontata in gran parte con le offerte della gente, di
      circa £. 6.500.000, raccolti in due tempi. 
      Molti offrirono materiale vario e giornate lavorative. Fu rifatto il
      tetto, l’intonaco interno e della facciata, il pavimento in cotto, zona
      presbiteriale e arredi.
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